Manifesto del controsenso: evviva l’errore!

Quattro, tre, due, uno…

Non è il conto alla rovescia in attesa della festa: è il voto all’alunno invisibile, quello che scompare dietro una nota, un richiamo, un insuccesso, quello che a casa è l’ultimo, quello che a scuola rasenta il muro, quello che esce in punta dei piedi e che arriva in ritardo ma nessuno se ne accorge. Zigomo contratto nel pugno non dato, occhi di caverna e cuore riarso dall’inverno della vita, precocemente spietata. Il verdetto già emesso: è la magia di Pigmalione.

Quattro, tre, due, uno: è anche il voto dell’alunno insopportabile, quello che stride dal coro dei laureati, quello che tira lo schiaffo, il renitente che ghigna pago della rabbia altrui e noi gliela restituiamo come l’ultimo dono del vaso di Pandora. Oggi ha preso un’altra nota, come ieri e l’altro ieri; comportamento scorretto e prognosi certa: candidato favorito alla ripetenza. Un problema in meno, dritti al traguardo!

Quattro, tre, due, uno: non è il barometro degli stonati: è il voto del debito, della non ammissione, del ritardo e della dispersione; è il voto dell’alunno invisibile e dell’alunno insopportabile; è il voto di chi non ce la fa. Ma tanto a nessuno importa perché “non sa niente e non vuole fare niente”. E questo “niente” è verbo apofantico dei burocrati della Docimologia; carte, registri, livelli di apprendimento, esiti e competenze: ecco l’elenco dei buoni e dei cattivi.

Intanto il Ministero rimedia e germina norme ed acronimi: è l’alfabeto cubitale della scuola. A, b, c: “alleanza”, “bisogno-BES”, “continuità”; d, e, f, g: “dispersione”, “diritti”, “doveri”, “ecosostenibilità”, “formazione”, “garanzia”, h, i: “handicap”, lemma di censura, tabù freudiano degli eletti, “inclusione” e varianti acefale: è davvero la scuola di tutti? Mutazioni genetiche e anabolismo di parole. La scuola cambia, cambiano le teste: successo e “resilienza”, il gigantismo europeo. Evviva il PNRR!

Quattro, uno, tre… algoritmi imperfetti per sabotare il sistema: un sistema disumano che ratifica l’insuccesso senza chiedere il perché. È il manifesto del controsenso, quello sovverte la logica della perfezione che disumanizza; vogliamo la scuola dell’errore e della “colpa”, la scuola degli “ultimi”, quelli che rendiamo tali con indubbiata certezza, quelli che non rispondono: “a” come analfabeta, “b” come bocciato, “c” come classifica… è l’alfabeto della selezione gentiliana.

Quattro, tre, due, uno, zero: è il voto che ci meritiamo quando lo mettiamo ai nostri alunni senza cercare il μέϑοδος; è la “trave” che condanna la “pagliuzza” nell’occhio altrui, la scuola che ratifica l’ovvio oltre la soglia della meta, perché cercare un’altra via sarebbe troppo faticoso. Un, due, tre: efficacia, efficienza, perfezione: scartiamo l’errore!

Manifesto del controsenso per ribellarsi alla scuola che esclude chi “perde la via”, ma se ci chiedete quale sia il “metodo”, ritorna umile e imperioso il monito agostiniano: chi conosce, non attende risposte definitive e definitorie; chi conosce non cerca formule e tassonomie, né sensi univoci come verdetti di marmo; chi conosce non ha smesso di porre domande e lascia parlare la vita con il suo brulichio inesausto; chi conosce è come il poeta di Borges che ascolta il silenzio. Non la pedagogia della “scala di cristallo”, non l’in-cultura della dannazione, né il lassismo melenso del consenso. Vogliamo il “no” che educa senza rigurgiti autoritativi, l’errore che orienta alla scoperta, la norma che educa al rigore e all’eccezione, all’ascolto dell’ombra del disagio. Vogliamo la “via” più difficile, senza argini e scorciatoie, vogliamo la scuola che cresce con le famiglie, oltre il perimetro dell’individualismo, la scuola che suggerisca all’ “io” di farsi “noi” tra sentieri sterrati e impervi. Non abbiamo paura di smarrire la via, ma serve una bussola, una parola sottratta al consumismo linguistico, bisillaba e semplice come nenia d’infanzia, una parola di cui abbiamo smarrito il senso:

“cura” come “apprensione d’amore”,

“cura” come intenzione del presente e attenzione al futuro”,

“cura” come equilibrio adattivo, fatica e conquista.

“Cura” come sacralità della vita.

“Cura” per ripartire daccapo, con la consapevolezza che, giunti al traguardo, si debba guardare al passato come al congedo dell’autunno. Fuori, intanto, è già primavera.

Il Dirigente Scolastico

Prof.ssa Ilaria Di Leva